LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha  emesso  la  presente  ordinanza  sul ricorso n. 267/05 del 17
febbraio2005,  proposto dal sig. Giuseppe De Anna, nato a Udine il 10
dicembre   1951   ed   ivi  residente  in  via  della  Roggia  n. 51,
rappresentato  e  difeso  dal  prof.  avv. Mario Nussi, presso il cui
studio in via Poscolle n. 11 a Udine ha eletto domicilio.
    Il  sig.  De  Anna  in  data  17  febbraio  2005  ha ricorso alla
Commissione  tributaria  provinciale  di Udine contro l'Agenzia delle
entrate  di  Udine, specificatamente a verso il ruolo n. 2004/150169,
di cui alla cartella di pagamento n. 115 2004 00266822 63, comunicata
a  mezzo  lettera  raccomandata  e  ricevuta in data 11 gennaio 2005.
L'Agenzia  delle  entrate  di  Udine,  con atto n. 03097920189 progr.
lista  004135450  del 3 dicembre 2003, notificato in data 24 febbraio
2004,  ha  comunicato al sig. De Anna di aver provveduto al controllo
formale  della dichiarazione dei redditi per l'anno d'imposta 2000 ai
sensi  dell'art. 36-bis  del  d.P.R.  n. 600/1973  e  di procedere al
recupero  degli  importi  relativi a: assicurazione vita, infortuni e
contributi   volontari,  contributi  previdenziali  ed  assistenziali
obbligatori, assegno periodico al coniuge.
    In  data 24 marzo 2004 il sig. De Anna ha provveduto a depositare
istanza  di  autotutela, allegando copia dei versamenti effettuati al
coniuge   e   della  documentazione  afferente  le  altre  riprese  a
tassazione.
    In  data 9 aprile 2004 l'Ufficio ha comunicato di aver provveduto
all'autoannullamento  parziale dell'atto n. 03097920189, riconoscendo
la  detraibilita'  degli  oneri  relativi  ai contributi obbligatori,
all'assicurazione  sulla  vita  ed  alla  deducibilita' degli assegni
corrisposti  al  coniuge  per  un  importo  di  lire  10.908.000.  Ha
confermato   l'indeducibilita'   dell'importo   di  lire  50.000.000,
motivando  tale  recupero  a  tassazione  in quanto si tratterebbe di
somme  versate  in  unica  soluzione  e  facendo rinvio alla sentenza
n. 16462/2002  della  Corte di cassazione e all'ordinanza n. 383/2001
della   Corte   costituzionale,  con  conseguenti  maggiori  imposte,
interessi e relative sanzioni.
    In  data 29 giugno 2004 il sig. De Anna ha presentato all'Ufficio
istanza  di autotutela, chiedendo l'annullamento dell'atto impositivo
nella  parte  afferente  le sanzioni conseguenti alla ripresa fiscale
operata,  in  ragione  del  principio  del  legittimo  affidamento di
contribuente come espresso nell'art. 10, comma 3, legge n. 212/2000.
    In  data  7  luglio  2004  l'Agenzia  delle  entrate  di Udine ha
confermato il dispositivo sanzionatorio, non considerando nlevante il
contrasto  giurisprudenziale  quanto  all'interpretazione della norma
sulla  indeducibilita' dell'assegno corrisposto una tantum al coniuge
e  sostenendo  di  aver  «...definitivamente  risolto le controversie
instaurate  ed  instaurande...»,  cosi'  come rilevato dall'ordinanza
della  Corte  costituzionale  n. 383/2001.  Sarebbe  stato,  inoltre,
temporalmente  possibile  accedere al ravvedimento di cui all'art. 13
del d.lgs. n. 472/1997.
    In  data  11  gennaio  2005 la S.F.E.T. S.p.a. di Udine (Societa'
Friulana  Esazione Tributi) ha proceduto a notificare al sig. De Anna
la   cartella   di  pagamento  di  importo  pari  ad  euro  15.071,59
comprensiva di imposte, interessi e sanzioni.
    In  sostanza l'Ufficio non ha riconosciuto la deducibilita' della
somma  di  50  milioni delle vecchie lire, corrisposta nell'anno 2000
dal sig. De Anna alla moglie tramite assegno, ritenendo che tale atto
non  rientra nella previsione di cui all'art. 10, comma 1, lettera c)
TUIR,  ai  sensi  del  quale  dal reddito si deducono «...gli assegni
periodici corrisposti al coniuge ad esclusione di quelli destinati al
mantenimento  dei  figli,  in  conseguenza  di  separazione legale ed
effettiva,  di  scioglimento  o  annullamento  del  matrimonio  o  di
cessazione  dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da
provvedimenti dell'autorita' giudiziaria...».
    L'Ufficio  ha  richiamato  l'ordinanza della Corte costituzionale
n. 383  del  6  dicembre  2001, con la quale ha negato che la mancata
previsione   di   deducibilita'  dell'assegno  corrisposto  in  unica
soluzione violi gli artt. 3 e 53 della Costituzione.
    Il  giudice  della Corte costituzionale sostiene che il contrasto
con  l'art. 3 sarebbe escluso in base alla considerazione che «... la
deducibilita'  o  meno  di  oneri  e spese dal reddito imponibile del
contribuente  non e' generale ed illimitata, spettando al legislatore
la  sua  individuazione in considerazione del necessario collegamento
con  la produzione del reddito, con il gettito generale dei tributi e
con  l'esigenza  di  adottare  le  opportune  misure  atte ad evitare
evasioni d'imposta, secondo scelte che in questa materia appartengono
alla  discrezionalita'  legislativa, col solo limite del rispetto del
generale  principio di ragionevolezza...». In ordinanza si legge come
«...le  due forme di adempimento, cioe' quella periodica e quella una
tantum,  ... - pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti
patrimoniali  derivanti  dallo  scioglimento  o  dalla cessazione del
vincolo  matrimoniale  -  appaiono sotto vari aspetti diverse, e tali
sono  considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia
...».  Diversamente,  conclude la Corte, si «...finirebbe col rendere
deducibile     dal    reddito    un    trasferimento    squisitamente
patrimoniale...»,  con  la  conseguente  necessita'  di  regolare  la
corrispondente  obbligazione  tributaria in capo al percipiente. Allo
stesso modo non si verifica alcuna lesione del principio di capacita'
contributiva,  «...lesione  che,  al contrario, potrebbe configurarsi
qualora  si  ammettesse  la deducibilita' della somma corrisposta una
tantum,  che  appare come conseguenza di un assetto complessivo degli
interessi  personali,  familiari  e  patrimoniali  dei  coniugi,  non
direttamente  correlata  al  reddito  percepito  dal contribuente nel
periodo d'imposta...».
    Il   Collegio   ritiene   che   quanto   affermato   dal  giudice
costituzionale  possa e debba essere rivisto perche' in contrasto con
gli oggettivi motivi di seguito riportati.
    E'  infatti  da  osservarsi  come  ai sensi dell'art. 5, comma 8,
legge  n. 898/1970  «...su accordo delle parti la corresponsione puo'
avvenire  in unica soluzione...». L'accordo delle parti vale quindi a
determinare il «modo» di estinzione dell'obbligazione, ma non ne muta
la  natura.  E' lo stesso Legislatore che mostra, nella summenzionata
norma, di considerare il pagamento in unica soluzione come un modo di
procedere   alla  corresponsione  dell'assegno  periodico.  Essendovi
dunque   una  perfetta  equivalenza  sotto  il  profilo  giuridico  e
funzionale  tra  l'assegno  periodico  e  quello corrisposto in unica
soluzione,  l'esclusione  per  quest'utimo della deducibilita' di cui
all'art. 10,  comma  1,  lettera  c)  appare manifestamente iniqua ed
irragionevole.    Ininfluente   sarebbe   osservare   che   l'accordo
intervenuto  tra  coniugi  per  la  corresponsione in unica soluzione
abbia  natura  transativa  e  sia quindi un mero accordo tra privati.
Nessuna  influenza  esplica  infatti  sulla  natura giuridica e sulla
finalita'  dell'assegno  corrisposto al coniuge separato o divorziato
la  circostanza  che  il  relativo  importo venga stabilito non iussu
iudicis,  ma  a seguito di accordo tra le parti. Medesima e' la ratio
delle  due  forme di adempimento - l'aiuto del coniuge economicamente
piu'   debole  -  medesimo  il  fondamento  normativo  dell'onere  in
questione,  che  in  ogni  caso  presuppone  «a  monte» uno specifico
provvedimento giurisdizionale.
    La  differente  disciplina  tra  i  due  regimi tributari finisce
irragionevolmente  per  disincentivare,  creando  svantaggi di ordine
economico,  il ricorso ad un istituto previsto dalla legge, riducendo
di  fatto la facolta' di scelta dei coniugi in sede di divorzio delle
modalita'     di     tutela     dei    loro    legittimi    interessi
economico-patrimoniali.
    Accanto   al   principio  di  uguaglianza  e  ragionevolezza,  e'
ravvisabile  anche  un  mancato  adeguato  rispetto  del principio di
capacita'  contributiva dal momento che ogni prelievo tributario deve
trovare  la  propria  causa  giustificatrice  in indici o presupposti
concretamente  rilevatori di ricchezza. Ed evidentemente l'esborso di
denaro   come  corresponsione  al  coniuge  una  tantum  ridimensiona
l'entita' degli eventuali presupposti rilevatori di ricchezza al pari
di un esborso periodico.
    Appare  non chiaro, non solo la conclusione cui giunge il Giudice
costituzionale    nell'ordinanza   n. 383/2001,   ma   anche   l'iter
logico-giuridico  seguito. Il generale richiamo alla discrezionalita'
legislativa  in uno stato di civilta' giuridica non puo' certo essere
il velo dietro cui mascherare scelte capricciose ed avventate. Non si
vede come il disconoscimento della deducibilita' delle corresponsioni
una   tantum   possa   venire  giustificato  «in  considerazione  del
necessario  collegamento con la produzione di reddito, con il gettito
generale dei tributi e con l'esigenza di adottare le opportune misure
atte  ad  evitare le evasioni di imposta». Come peraltro riconosciuto
nello  stesso provvedimento, limite alla discrezionalita' legislativa
deve  pur  sempre  rimanere il principio di ragionevolezza, principio
che  non  puo'  dirsi  rispettato  nelle  considerazioni  della Corte
costituzionale.   Questa,   infatti,   al  fine  di  giustificare  la
disparita'   di   trattamento,  opera  un  distinguo  palesemente  ed
esclusivamente formalistico. La presenza dietro la corresponsione una
tantum  di  un accordo tra privati, i quali decidano di capitalizzare
la  somma  dovuta  da  uno all'altro, non puo' essere sufficiente per
disconoscere  il  fatto  che  a  monte  vi  sia,  come  per l'assegno
periodico,  un  provvedimento giudiziario che dispone tanto l'obbligo
della  corresponsione  quanto  l'entita' della stessa. L'esigenza per
l'erario  di  assicurarsi un gettito generale di tributi di una certa
consistenza  non  puo'  certo  essere giustificato di un cosi' palese
disconoscimento   della  capacita'  contributiva.  Affermare  che  la
corresponsione  una  tantum  integri  un  trasferimento squisitamcnte
patrimoniale   puo'   essere   un   modo   elegante   per   dare  una
giustificazione   apparentemente   razionale   ad   una   irrazionale
disparita'  di trattamento. La locuzione verbale diviene mero schermo
per  occultare  quello che invero e' un decurtamento tout court della
sfera  economica  del  soggetto.  Decurtamento  che  va  a ridurre il
reddito al pari di una corresponsione periodica.
    Perplessi lascia, peraltro, anche il modulo comparativo adottato,
ovvero  il richiamo al «necessario collegamento con la produzione del
reddito».  Vero  e'  che  il  TUIR  non  contiene  norma  che preveda
espressamente    la    tassabilita'   di   assegni   inglobanti   una
corresponsione una tantum tra coniugi, ma tale rilievo non puo' certo
dirsi  significativo.  Affermare  che  la  deducibilita'  di  un tale
assegno,   non  disposta  espressamente  da  alcuna  norma,  non  sia
possibile  perche'  non  esiste  norma  che  assoggetti  lo  stesso a
tassazione  per  il  percipiente, non prova nulla. Se, come affermato
dalla   Corte,  nella  mentalita'  del  Legislatore  imponibilita'  e
deducibilita'   vanno  di  pari  passo,  e'  logico  che  la  mancata
previsione di deducibilita' sia accompagnata dalla mancata previsione
di   imponibilita'.   Quello  che  viene  contestato  e'  il  diverso
trattamento  fiscale  che  viene  riservato  ad un assegno una tantum
piuttosto  che  ad un assegno periodico. Nel chiedere la declaratoria
di  incostituzionalita'  della  mancata  previsione di deducibilita',
implicitamente    viene    richiesto   anche   la   declaratoria   di
incostituzionallita'  della  mancata  previsione di imponibilita'. Il
ragionamento della Corte si traduce evidentemente in una petizione di
principio che nulla prova. La Corte costituzionale, in quanto giudice
delle leggi, non limita la sua funzione ad un controllo circa la mera
congruenza  interna  tra  norme. Tanto piu' in questo caso laddove la
deducibilita' e l'imponibilita', per quanto collocate in disposizioni
diverse, rispettivamente art. 10, lettera c) TUIR e art. 47, comma 1,
lettera  i)  TUIR,  sono  riconducibili  al medesimo principio di cui
rappresentano  immediata  estrinsecazione,  integrando  le  due facce
della  medesima  medaglia.  Nulla  osta  afflnche'  la Corte dichiari
l'illegittimita'  costituzionale  tanto  della  mancata previsione di
deducibilita',  come  da  sempre  esplicitamente chiesto, quanto, con
consequenzialita'    inevitabile,    la    mancata    previsione   di
imponibilita'.   Peraltro,   anche   in   altre  occasioni  la  Corte
costituzionale    ha   riconosciuto   la   deducibilita'   di   oneri
indipendentemente dalla simmetrica imponibilita' del provento.
    Con  le  sentenze  n. 142  del  27  luglio  1982  e n. 245 del 29
dicembre    1982   la   Consulta   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale delle norme di cui all'art. 10, lettera f), del d.P.R.
29 settembre  1973,  n. 597  e  alla lettera d) del medesimo articolo
come   modificato   sia  dall'art. 5  della  legge  n. 114/1977,  sia
dall'art. 5 del d.l. n. 693/1980, nella parte in cui riconoscevano la
deducibilita'  delle  spese  mediche solo se sostenute nel territorio
dello  Stato.  Ai  sensi  degli  artt. 3  e 32 Cost., diversamente si
creerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento fiscale, tenuto
conto  del  fatto  che  ci  sono  cure  e  interventi  per i quali e'
necessario  ricorrere  all'estero.  «Ove poi si voglia sottolineare -
motiva  la  Corte  - essere preferibile che la spesa sia sostenuta in
Italia  al  fine  di poterla tassare in capo ai percipienti, cio' non
puo'  costituire  un motivo ditale rilievo da eliminare il fondamento
della  deducibilita' che sta, ripetesi, nel riconoscimento accordato,
in ossequio al precetto costituzionale, alla esigenza di salvaguardia
della   salute,   e   quindi   alla  liberta'  di  scelta,  da  parte
dell'ammalato,  di  cure  e interventi, a sue spese al di fuori della
struttura  sanitaria  alla  quale  potrebbe  ricorrere in Italia». La
Corte sembra quindi sostenere, ai fini del riconosimento o meno della
deducibilita',  la  necessita' di analizzare la ratio della spesa, la
sua  interna  ragionevolezza,  indipendentemente  da  ogni simmetrica
imponibilita'.
    In  conclusione  il Collegio osserva che nulla vieta che la Corte
possa  riesaminare  una questione gia' vagliata ed esprimere un altro
giudizio, tenendo conto di nuovi motivi e diversi profili.